L'arte di raggiungere obiettivi
Durante i miei corsi di Project Management mi piace affermare che il project management è... "L'Arte di Raggiungere Obiettivi".
C'è del vero in questa affermazione, ma col tempo mi sono reso conto che la questione è più complicata, perché ci sono "obiettivi" e "obiettivi" e non tutti si affrontano allo stesso modo.
Se siamo alle prese con un obiettivo ambizioso, il Project Management è una miniera di tecniche e strumenti utilissimi, ma quando e come utilizzarli (al di fuori del tipico progetto aziendale) non è affatto ovvio.
L'arte di raggiungere obiettivi è quindi qualcosa di più generale... qualcosa in cui il project management, i modelli agili, il pensiero laterale, i sistemi di automotivazione e così via... possano trovare la propria giusta collocazione.
Cominciamo dall'inizio: che cosa è un obiettivo?
Un obiettivo è la volontà di modificare una situazione affinché soddisfi certi criteri.
Quindi perché si possa parlare di "obiettivo" devono esistere:
- dei criteri da soddisfare,
- una situazione presente che non corrisponde a tali criteri,
- l'intenzione di cambiare le cose affinché i criteri siano soddisfatti.
Vorrei porre l'attenzione sul secondo punto della lista, che di solito non viene adeguatamente considerato: la situazione di partenza è un elemento decisivo per definire quanto un obiettivo sia facile o difficile da perseguire, e quindi anche un obiettivo formulato nello stesso identico modo (per esempio: "Vedere Parigi dalla Tour Eiffel") può essere molto diverso, in termini di difficoltà, per due soggetti diversi (un cittadino di Parigi e un bambino cinese, nell'esempio precedente).
Secondo passo: come si raggiunge un qualsiasi obiettivo?
Per obiettivi al di sotto di una certa difficoltà non c'è bisogno di strumenti o strategie particolari: la mente umana è già programmata per trovare "automaticamente" la strada per ottenere le cose desiderate... se non ci sono troppi ostacoli.
Possiamo classificare questi obiettivi come: "facilmente raggiungibili".
Ma quando la difficoltà o la dimensione dell'obiettivo è tale da mettere in crisi il nostro "sistema automatico", è allora che sono necessarie tecniche e strumenti, tra le quali troviamo certamente quelle associate al "Project Management" (ma non solo).
Ma qual è la differenza tra un obiettivo "facile" e un obiettivo "difficile"?
Ci sono quattro parametri caratteristici che permettono di classificare il grado di raggiungibilità di un obiettivo:
E' evidente che se l'obiettivo è di ridotta entità, conosco un modo (già collaudato) per ottenerlo, che funziona sempre, e l'ambiente è favorevole... non c'è nulla da progettare: basta mettersi in azione.
Diciamo che in questo caso la "raggiungibilità" dell'obiettivo è massima.
Banalizzando un po', potremmo immaginarci di calcolare la percentuale di "raggiungibilità" come moltiplicazione dei quattro parametri che abbiamo appena elencato.
L'arte di raggiungere obiettivi consiste sostanzialmente in questo:
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Alzare la raggiungibilità dell'obiettivo a un punto tale che il successo sia un'ovvia conseguenza ... e poi mettersi in azione
O almeno questa è la direttrice... per traguardi molto ambiziosi ci si può accontentare di qualcosa di meno...
Ma come posso cambiare la raggiungibilità di un obiettivo senza modificare l'obiettivo stesso?
E' semplice, lo abbiamo già detto:
- la raggiungibilità di un obiettivo dipende dalla situazione di partenza
quindi, quando abbiamo per le mani un obiettivo poco raggiungibile, non dobbiamo fare altro che immaginare/individuare/inventare una nuova situazione:
- che sia decisamente più raggiungibile
- a partire dalla quale il nostro obiettivo sarebbe decisamente più raggiungibile
... e avremo così individuato il nostro primo "obiettivo intermedio".
E questo procedimento può essere applicato più e più volte, su ciascun nuovo obiettivo trovato.
Possiamo ottenere così una concatenazione di "obiettivi intermedi", lunga quanto serve, tale che il primo sia "facilmente raggiungibile" e una volta raggiunto quello il successivo sia "facilmente raggiungibile"... e così via fino all'ultimo passo, da dove l'obiettivo finale sarà lì, perfettamente a portata di mano... in una parola... facile
Chiamerò questa attività "Roadmapping".
Il trovare una catena di obiettivi intermedi con queste caratteristiche (una "Roadmap") è già di per sé un enorme salto in avanti nella raggiungibilità dell'obiettivo finale: infatti avere a disposizione tale traccia determina, di fatto, una nuova situazione di partenza, decisamente più favorevole.
Quindi il roadmapping è già di per sé una operazione che aumenta la raggiungibilità di un qualsiasi obiettivo, e quindi, in genere, la roadmap è (o dovrebbe essere) il nostro primissimo "obiettivo intermedio".
Beh... forse non tutta la roadmap... diciamo almeno i primi passi.
Il roadmapping
Il roadmapping è un lavoro impegnativo e delicato, perché può fare la differenza tra successo e fallimento, e perché a volte non è ovvio trovare tutti gli anelli della catena (una catena che funzioni bene, s'intende), ma è estremamente potente.
Il procedimento, di per sé, è semplice:
- prendo in considerazione un obiettivo (inizio da quello finale, e poi tutti gli altri che vengono prodotti man mano)
- mi domando "è facilmente raggiungibile?"
- se la risposta è sì, passo ad un altro obiettivo
- se la risposta è no, mi domando: "è per una mancanza di conoscenza, di predisposizione, di ridottezza o di confidenza?"
- cerco di alzare ciascuno dei parametri che scarseggia attraverso dei nuovi "obiettivi intermedi" (che aggiungo alla roadmap)
- ritorno al punto 1
Sì ma, concretamente, come alzo questi benedetti quattro parametri?
Vediamoli uno per uno...
Conoscenza
Se non si conosce (bene) il modo di raggiungere un risultato, l'obiettivo intermedio da introdurre è "sapere come fare".
Un primo livello (indubbiamente utile) è la conoscenza teorica, che spesso si può ottenere facilmente con libri, corsi, consulenze. Ma la conoscenza teorica di solito non basta, per essere davvero efficaci ci occorre l'esperienza.
"Avere l'esperienza necessaria" è certamente un eccellente obiettivo intermedio da introdurre. Il modo più rapido per procurarsi l'esperienza, comunque, è coinvolgere direttamente altre persone già esperte.
In alternativa, un modo assai diffuso (e, ahimé, decisamente costoso) di acquisire esperienza è, curiosamente, "non preoccuparsi affatto della mancanza di esperienza"... presumendo di sapersela cavare. Dopo molti errori e dopo molte risorse sacrificate, potremo infine dire di avere "acquisito l'esperienza".
Talvolta, però, il problema della conoscenza è realmente ostico: la conoscenza su come si ottiene quell'obiettivo potrebbe non essere proprio disponibile e magari va costruita (è il tipico caso di una "startup"). Niente paura: "costruire la conoscenza" è solamente un nuovo obiettivo intermedio su cui lavorare (magari con l'aiuto di qualcuno esperto in "costruzione di conoscenza" o, nel caso specifico, "in startup").
Spesso, se la conoscenza è molto scarsa, dovremo lasciare la roadmap incompleta, raggiungere gli obiettivi finalizzati ad aumentare la conoscenza e poi riprendere il roadmapping con maggiori informazioni.
Il Project Management, in merito al tema della conoscenza, propone (anzi impone) il processo di pianificazione.
Un piano di progetto è "de facto" la risposta completa ed esaustiva alla domanda: "Come verrà raggiunto l'obiettivo?". E se è un "buon" piano, allora terrà conto anche del problema dell'esperienza.
Quindi, se vogliamo essere più tecnici, possiamo sostituire "sapere come fare" con "avere un buon piano".
Predisposizione
L'ambiente in cui operiamo (per esempio l'azienda in cui lavoriamo) può essere o non essere pre-organizzato per realizzare con facilità certi obiettivi. In generale qualsiasi "organizzazione" è strutturata per certi scopi e non per altri.
Quindi lo stesso tipo di obiettivo può essere "altamente raggiungibile" in una certa azienda (o in una certa nazione) e "pressoché irraggiungibile" in un'altra.
Come miglioriamo la predisposizione per il nostro obiettivo quando questa è bassa?
A volte la risposta è: Spostarsi altrove
... ma quando questo non è auspicabile la risposta diventa: Organizzarsi.
Nel project management si parla appunto di "Organizzazione di progetto", che può prevedere un vero e proprio organigramma, delle prassi e procedure, standard, flussi di comunicazione, etc.
Più complesso è il risultato da ottenere, più diventa necessario questo aspetto (pensate ad esempio al Programma Apollo).
"Quali elementi organizzativi sono necessari per arrivare ad una buona predisposizione per il nostro obiettivo?" La risposta a questa domanda diventa un nuovo elenco obiettivi da inserire nella nostra roadmap.
Ma attenzione! Se la predisposizione è già buona occorre concentrarsi sugli altri aspetti.
Ridottezza
Quando il problema è che l'obiettivo è troppo ampio la soluzione è (relativamente) semplice: Scomporre
A volte un obiettivo è scomponibile "per parti"; per esempio nel caso di un matrimonio c'è il pranzo, il vestito, il fotografo, etc.
Altre volte l'obiettivo non è scomponibile in parti, ma è ancora troppo... grosso. In questo caso la scomposizione sarà "per tappe".
L'approccio è quello già descritto: una "tappa" è un obiettivo intermedio "più piccolo" a partire dal quale l'obiettivo finale risulta "più piccolo". Normalmente conviene partire dal fondo e individuare le tappe a ritroso.
Nota importante: spesso la "tappa intermedia" è in realtà un insieme di cose... che si presta ad essere scomposta "per parti": facciamolo subito!
Dal punto di vista del Project Management questo lavoro di scomposizione si chiama "Analisi del progetto" ed è quello che alla fine dà luogo alla "WBS", con i suoi "Work Package", "Task", "Activity", e così via...
Quelli che io ho chiamato genericamente "obiettivi intermedi (piccoli)", nel mondo del project management spesso sono chiamati "deliverable".
Se nonostante tutto non riusciamo individuare delle tappe intermedie adeguate, allora sarà utile incrementare maggiormente la nostra conoscenza.
Confidenza
La scarsa confidenza rispetto a un certo obiettivo può essere dovuta a valori bassi degli altri parametri (e in tal caso bisogna lavorare su quelli), ma talvolta è intrinseca: pur attuando le manovre corrette non c'è sicurezza del risultato.
Qualcosa può andare storto... anche se abbiamo la conoscenza necessaria, l'obiettivo è ridotto e il contesto è favorevole.
Come si alza la confidenza?
La risposta generale a questa domanda è: Gestione dei rischi
Non a caso il Risk Management è uno dei pilastri del Project Management.
Le tecniche di risk management possono essere molto raffinate, ma per capire il concetto generale basta pensare a cose come:
- avere una ruota di scorta nel bagagliaio
- avere dei buoni giocatori in panchina
- avere con sé un coltellino svizzero
In pratica, se gestiamo diligentemente i rischi, fisseremo una serie di obiettivi collaterali (e ne sosterremo i costi) che renderanno molto difficile alla "cattiva sorte" interferire con i nostri piani.
La domanda da farsi, prendendo in considerazione un obiettivo con bassa confidenza è: "Quali elementi, se fossero presenti, renderebbero più probabile un esito positivo?", ed ecco una nuova batteria di obiettivi intermedi da inserire nella roadmap.
Il problema, in questo caso, è che si rischia di esagerare: spesso non c'è limite alle cose che potremmo fare per migliorare le nostre chance... bisogna scegliere con saggezza quali rischi contenere e quali... correre.
Conclusioni
Il metodo che abbiamo visto insieme è assolutamente generale (da questo deriva la sua potenza), e quindi, per forza di cose, astratto.
Come tradurlo in qualcosa di concreto? Provatelo sui vostri obiettivi.
L'unico modo di imparare una tecnica è usarla.
Partite da traguardi semplici, per i quali in realtà un metodo non sarebbe necessario e poi, quando avrete preso confidenza, alzate gradualmente il tiro.
Ah! Quasi dimenticavo... dopo avere costruito la roadmap bisogna prendere i primi obiettivi intermedi (quelli "facilmente raggiungibili", ricordate?) e mettersi in azione!
Fatemi sapere come va....